[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1563534717198{margin-bottom: 0px !important;}”]In questa sezione di #DIMMI diamo spazio a pensieri, riflessioni, punti di vista di formatori e ragazzi che in questi mesi sono stati coinvolti nei laboratori del progetto DIMMI Storie da sfogliare
Quando si parla di migrazioni, sempre più spesso si fa riferimento solo alla fase finale del percorso migratorio, alla permanenza in Libia e alla traversata del Mediterraneo che, nella migliore delle ipotesi, precede il salvataggio in mare e lo sbarco sulle coste italiane. In realtà, il viaggio di chi arriva nel nostro Paese inizia molto prima, nel Paese d’origine. È quello il punto di partenza e il luogo in cui si inizia a maturare l’idea, il desiderio, di partire in cerca di un futuro migliore, di nuove opportunità.
Per questo motivo, sa da un lato è importante raccontare la cronaca, è necessario analizzare anche le molteplici cause delle partenze, interrogandosi su quali siano le reali condizioni di vita nei Paesi di provenienza dei migranti, indipendentemente dallo status che gli sarà riconosciuto. Ibrahima Danso, originario del Senegal, ha partecipato ai nostri laboratori del progetto DIMMI Storie da sfogliare. Un percorso lungo un anno, non ancora concluso, durante il quale ci ha raccontato della sua infanzia e della sua adolescenza, ha condiviso con noi tanti racconti sulla cultura mandingo, ha parlato più volte della figura del Kankouran che rimanda all’omonimo rituale, una tradizione tramandata di generazione in generazione e sopravvissuta al tempo.[/vc_column_text][mk_gallery images=”1002,960,936,931,801″ style=”style3″][vc_column_text css=”.vc_custom_1563534727478{margin-bottom: 0px !important;}”]Ha portato con sé dal Senegal un bagaglio di storie e ricordi, con cui ha viaggiato attraverso il Mali, il Burkina Faso, il Niger, l’Algeria, la Libia e il Mar Mediterraneo. Durante i nostri incontri conclusivi nei licei di Modena e Cesena, gli studenti hanno ascoltato i suoi racconti e dialogato con lui. Più volte, Danso, oltre a condividere la sua storia seguendo un preciso ordine cronologico, ha posto una domanda che ci ha interrogati tutti sul senso più profondo del viaggio: “Perché secondo voi gli africani lasciano il loro Paese per l’Europa?”.
Terminati i laboratori, Danso è rientrato a Porretta dove vive e spera di trovare un lavoro. Ripensando al percorso fatto insieme, in attesa di rivederci a Lampedusa, ha voluto condividere un testo, scritto in francese e tradotto da noi in italiano. Un testo nato forse dall’esigenza di raccontare quel pezzo di storia che di solito manca nella narrazione sulle migrazioni.
Questo testo ci ricorda che i migranti sono prima di tutto persone, con un’identità, un’esperienza di vita alle spalle, una cultura, un preciso punto di vista sul mondo e anche un pensiero politico. Ci ricorda che il continuo tentativo di ridurre i migranti a numeri, contribuisce a fargli perdere la dignità che meritano in quanto esseri umani.
Rispondere alla domanda “Perché gli africani lasciano il loro Paese per l’Europa?” significa prima di tutto spiegare le cause (delle partenze, ndr). Ma dobbiamo riconoscere che nessun uomo lascia il proprio Paese per il semplice piacere di emigrare.
Felicità. Voler essere felici a tutti i costi, mettere la propria vita in gioco e non arrendersi, qualunque sia la difficoltà, qualunque sia il tempo necessario. Abbiamo lasciato le nostre famiglie, i nostri cari, la nostra cultura e i nostri Paesi, con il desiderio di riuscire. Le cause (della migrazione, ndr) sono molteplici: di carattere politico, sociale, culturale, economico, per esempio alti tassi di disoccupazione…
Causa politica – La prima causa di emigrazione è naturalmente l’ingiustizia sociale e la precarietà. L’Africa oggi non gioca un ruolo di partner, ma i suoi destini sono legati alle grandi multinazionali occidentali e alle istituzioni finanziarie internazionali. La lotta per il potere e l’accesso alla ricchezza ha provocato conflitti interni ed esterni sempre più devastanti. Un africano su cinque vive in un contesto di guerra; e la violenza sta diventando la base delle relazioni tra giovani e anziani, ricchi e poveri, etnie e religioni differenti.
Causa economica – Dalla fine della decolonizzazione, si assiste a un aumento del sottosviluppo. L’Africa ha bisogno di importare la maggior parte dei prodotti industriali e di consumo di cui ha bisogno.
Questi prodotti hanno costi sempre più alti, a causa della svalutazione della maggior parte delle valute. Di conseguenza anche il debito estero sta aumentando pericolosamente. Inoltre, le colture alimentari che devono sfamare la popolazione sono sacrificate a vantaggio delle colture destinate all’esportazione, in nome dell’imperativo dello sviluppo. Ora, i Paesi del Sud (del mondo, ndr) non hanno alcun controllo sulla fluttuazione dei prezzi di queste colture, prezzi che sono stabiliti unilateralmente dai Paesi industrializzati occidentali. Davanti alla minaccia della fame, le persone decidono quindi di andare alla ricerca di un luogo in cui riuscire a sfamarsi non sia più una preoccupazione quotidiana. Cercano una sorta di terra promessa, una terra di salvezza. E questo luogo è l’Occidente. Oggi, il mio Paese, il Senegal, che ha sacrificato la sua popolazione, guadagna solo il 10% dalla vendita del suo petrolio e gas. In queste condizioni, come possiamo restare nel nostro Paese? È troppo difficile. E se si protesta (per la situazione, ndr), si viene incarcerati o uccisi.
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