[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1560866560563{margin-bottom: 0px !important;}”]Il 20 e 21 maggio, le nostre #StorieMigranti hanno fatto tappa nel Liceo Venturi di Modena e nell’Istituto Versari Macrelli di Cesena. “Di questa esperienza porto con me il sorriso e lo sguardo di Momini”
“Secondo voi, perché i ragazzi africani vengono in Italia?” “Cosa pensate e cosa provate quando incontrate una persona straniera per strada, sull’autobus o sul treno?” “Perché se saluto qualcuno per strada, l’altra persona non mi risaluta? Per una questione culturale e di abitudini o per paura?”
Tre ragazzi richiedenti asilo e rifugiati, originari del Burkina Faso, del Camerun e del Senegal, circa 100 studenti dai 16 ai 19 anni, due incontri tra arte e parole. Due laboratori, proposti nell’ambito del progetto “DIMMI Storie da sfogliare” inserito in DIMMI di Storie Migranti, che si sono svolti il 20 e il 21 maggio, rispettivamente presso il Liceo artistico A. Venturi di Modena e l’Istituto Professionale Statale Versari – Macrelli di Cesena.
Le due mattinate sono state strutturate come ad Ancona: una prima parte dell’incontro era dedicata al racconto in prima persona (in italiano o in francese); una seconda parte alla lavorazione dell’argilla, dopo aver ascoltato i racconti, seduti in cerchio in piccoli gruppi. La testimonianza diretta dei giovani migranti è stata arricchita dalle mappe che indicavano il loro percorso di viaggio e dai lavori d’argilla, creati durante i laboratori di auto-narrazione, realizzati dal Comitato Tre Ottobre a Bologna (da ottobre ad aprile), nella sede messa a disposizione dall’Associazione culturale Cantieri Meticci.[/vc_column_text][mk_gallery title=”Liceo A. Venturi di Modena” images=”931,939,940,932,933″ style=”style1″][vc_column_text css=”.vc_custom_1560864778329{margin-bottom: 0px !important;}”]Un dibattito inaspettato – Nel corso dei due incontri nelle scuole, oltre a raccontare la loro storia di vita e rispondere a diverse domande sulla loro esperienza personale, i ragazzi hanno posto delle domande agli studenti, stimolando così una riflessione e un dibattito inaspettato. La loro voglia di raccontarsi e di capire il punto di vista dei giovani, ha quindi favorito il dialogo e la conoscenza reciproca in maniera del tutto naturale.
In particolare, alla domanda di M. “Cosa pensate e cosa provate quando incontrate una persona straniera per strada, sull’autobus o sul treno?”” uno studente ha risposto: “Alla fine, purtroppo è normale avere dei pregiudizi, cresciamo in una società che ci educa a considerare l’altro diverso”. Un’altra ragazza ha spiegato: “Ammetto di avere paura a volte quando giro per strada e vedo una persona straniera”.
Un altro studente ha argomentato così: “Dipende dal contesto. (…) Se vedo una persona che parla italiano e che lavora, non ho problemi. Se vedo una persona ubriaca che bivacca, penso che potrebbe stare da un’altra parte. Non è una questione di colore della pelle – ha spiegato Lorenzo – ma di comportamento. Il discorso vale per l’africano, il bulgaro, lo svizzero, l’italiano”.
Il pensiero condiviso da Lorenzo ha fatto riflettere Nicole, che si è inserita nella discussione argomentando con queste parole: “Le persone sono buone e cattive in generale. In Italia la situazione sta iniziando a cambiare in senso negativo, la mentalità delle persone è più chiusa e la tv non fa altro che peggiorare le cose. Si racconta di migranti che stuprano e gli atteggiamenti del singolo straniero ricadono su tutta la comunità a cui lui appartiene. Per superare questo problema – ha concluso – bisognerebbe raccontare anche il positivo”.
I ricordi d’infanzia – Allo stesso modo, anche il racconto di vita di M. originario del Burkina Faso ha stimolato una serie di domande da parte degli studenti. Partito con la sua famiglia quando era piccolo e arrivato in Libia dove il padre aveva trovato lavoro, M. ha raccontato di aver vissuto in Libia in un periodo in cui la situazione era tranquilla. Solo in un secondo momento, le condizioni di sicurezza sono peggiorate e ha deciso di partire via mare. In quella circostanza, però, è stato fermato dalle autorità libiche, riportato in Libia e arrestato, mentre la madre e la sorella sono state rimpatriate nel Paese d’origine. Dopo circa due anni nelle carceri libiche, non potendo pagare per essere scarcerato, è stato costretto a salire su un barcone e a partire per l’Italia. Nel suo caso, quindi, la scelta di arrivare in Europa non è stata né volontaria né consapevole. “Quando le persone partono dalla Libia – ha spiegato agli studenti – in realtà non sanno se torneranno in Libia o se arriveranno in Italia o in Spagna. Gli viene detto soltanto: ‘andate a morire’”.
“Hai mai sentito la mancanza di casa, del tuo Paese?” “Sei in contatto con la tua famiglia?” Hanno chiesto gli studenti. “C’è un ricordo positivo o negativo che ti porterai dietro per tutta la vita? Come uno scatto fotografico impresso nella tua memoria?” ha chiesto un altro ragazzo, inizialmente diffidente e distaccato, poi sempre più curioso e interessato alla storia che ascoltava. “Il ricordo più tragico – ha raccontato M. – è sicuramente la morte di mio padre, ucciso in Libia. Il ricordo più bello, di serenità, è il periodo in cui frequentavo la scuola in Libia, prima della guerra, e giocavo con gli altri bambini”. [/vc_column_text][mk_gallery title=”Istituto Professionale Versari – Macrelli di Cesena” images=”934,945,936,944,935″ style=”style3″][vc_column_text css=”.vc_custom_1560864805995{margin-bottom: 0px !important;}”]Un racconto senza filtri, intimo e personale, tante reazioni diverse, tante emozioni condivise o nascoste. Ogni studente, in base al proprio carattere, si è espresso a suo modo, facendo ricorso alla parola o all’arte. Molti giovani, piuttosto silenziosi durante il momento del racconto, nella seconda parte del laboratorio hanno trasformato le storie in creazioni artistiche, soffermandosi su un particolare rimasto particolarmente impresso, su un dettaglio che è stato riproposto attraverso l’argilla. Nella parte finale di ogni incontro, gli studenti hanno presentato i lavori crearti durante la mattinata, dando un significato preciso agli oggetti e contestualizzandoli nell’ambito del racconto ascoltato.
Tra le piccole opere d’arte, una prigione, un pick-up con tante persone a bordo, un insieme di oggetti che rappresentano i diversi momenti di uno stesso racconto: la barca con cui si parte dalla Libia; la nave di una ONG italiana che si occupa del soccorso in mare; l’isola di Lampedusa; una casa “perché nessuno dovrebbe sentirsi escluso, emarginato”. Un bastone che tiene una coperta, a rappresentare la morte del proprio figlio nella foresta, con un chiaro riferimento al vissuto di D. “D. ci ha raccontato che in Senegal, durante il rituale dal Kankouran, la madre veniva a sapere della morte del figlio, solo alla fine del rituale, quando tutti i ragazzi uscivano dalla foresta”. La coperta del bambino defunto veniva quindi appesa su un bastone, ad indicarne la morte.
Tra gli altri oggetti, un arcobaleno “perché il ragazzo è gay e per questo è dovuto scappare dal suo Paese, in questo modo ho voluto simboleggiare la comunità Lgbti”; una croce perché “solo grazie alla fede F. è riuscito a superare gli ostacoli”; una grande mano d’argilla “perché dal racconto di F. abbiamo capito che è un gran lavoratore”. Infine un coltello che “rappresenta da un lato le difficoltà e le violenze subite, dall’altro l’idea che molti italiani hanno degli stranieri, considerati spesso solo persone che delinquono, ma non è così”, ha spiegato la studentessa, con un rimando ad alcuni temi affrontati durante la mattina.
Nel corso dei due incontri a Modena e Cesena, infatti, si è parlato molto del sistema di accoglienza e asilo, dei progetti di integrazione e inclusione sociale, dei canali di ingresso legali e sicuri, ma anche e soprattutto di informazione giornalistica, narrazione distorta della realtà e dell’opinione negativa che molti italiani hanno degli stranieri. Eppure, è stato proprio D., richiedente asilo originario del Senegal, a ribadire più volte con convinzione il suo punto di vista: “In Italia non c’è razzismo, c’è solo tanta paura”.
Le parole di D, così come quelle di F. e M. hanno lasciato un segno anche tra gli studenti. Queste alcune delle loro impressioni, condivise alla fine del laboratorio rispondendo alle nostre domande.[/vc_column_text][vc_column_text css=”.vc_custom_1560864882688{margin-bottom: 0px !important;}”]
Cosa porti con te di questa esperienza di incontro con l’altro?
Sicuramente l’idea che prima di giudicare bisogna conoscere le persone e le loro storie.
Il sorriso e lo sguardo di Momini.
Da questa esperienza porto con me tutto il dolore che ha provato perché mentre raccontava mi sono immedesimato in lui.
Molto più rispetto, da adesso in poi, nei confronti del diverso.
Quali aspetti ti hanno colpito di più delle storie che hai ascoltato?
Mi ha colpito la forza di volontà, mentale e fisica di continuare. La tenacia nel voler riuscire ad arrivare in Italia.
La semplicità e la cura dei dettagli con cui hanno raccontato la storia.
La cultura senegalese.
La sua forza nel raccontare un’esperienza così tragica e difficile e anche la simpatia e disponibilità nel comunicare con gli altri.
Mi ha colpito la casualità e il fato che a volte agisce in maniera piacevolmente inaspettata.
Il modo in cui è stata raccontata la storia, con occhi pieni di sofferenza.
Molti aspetti mi hanno colpito, in particolare il momento in cui ha detto che avrebbe preferito morire piuttosto che andare avanti nella situazione in cui si trovava.
Mi è piaciuto interagire con loro e con i miei compagni. Ho apprezzato molto il fatto che i protagonisti delle storie abbiano fatto delle domande a noi.
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