A partire dal 18 aprile 2015, il Comitato 3 ottobre è impegnato regolarmente nel tentativo di dare un nome alle numerose vittime delle stragi in mare. Attualmente in Italia ci sono migliaia di persone migranti morte in mare ancora senza un nome. Questa attività avviene grazie ad un Protocollo siglato tra il Comitato 3 ottobre, il Commissario Straordinario per le Persone Scomparse e l’Istituto LABANOF.
In collaborazione con il Comitato 3 ottobre, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LABANOF) dell’Istituto di medicina legale della Statale di Milano, guidato dal medico legale Cristina Cattaneo cerca di dare un nome alle vittime dei naufragi, incrociando i dati post-mortem con quelli ante-mortem. Si prova così a dare un’identità a quei corpi senza vita. Uomini che spesso si sono imbarcati senza parenti, né amici o conoscenti. Ogni corpo recuperato in mare, avvolto in un telo nero viene analizzato: DNA, occhi, denti.
Ma il vero problema è raggiungere i parenti delle vittime per incrociare i dati. L’obiettivo è quello di raggiungere ogni piccolo villaggio, ogni gruppo familiare che ha un parente che ha attraversato il Mediterraneo. Solo da loro possono arrivare quei preziosi dati ante-mortem che potranno dare un nome a chi adesso è solo un numero. La scheda di riconoscimento e identificazione rimane a disposizione di familiari, amici e conoscenti delle vittime delle stragi in mare per fare da tramite con le autorità competenti e procedere con l’identificazione.
Nel 2021 si è riusciti a facilitare le procedure di identificazione per 10 famiglie, arrivando a dare un’identità certa a tre nuclei familiari.
Ad oggi non c'è un sistema integrato per il conteggio delle morti e molti di coloro che hanno perso la vita in mare non verranno mai portati a riva o se ci arriveranno probabilmente saranno depositati senza nome e senza funerale in un cimitero in Italia meridionale o in Grecia.
Non mi stancherò mai di sottolineare l’urgenza di creare una banca dati europea del DNA e di avviare un progetto di collaborazione europeo affinché venga riconosciuto il Diritto all’Identificazione delle migliaia di cadaveri tumulati senza nome nei cimiteri europei. L’Italia ha un modello che può essere esteso a tutti i ventisette Stati Membri.
Il problema dell’identificazione non è di poco conto, non solo perché stiamo parlando di esseri umani che hanno perso la loro vita, ma anche a causa delle famiglie e delle persone che continuano ad aspettare una chiusura emotiva che non arriva. La mancata identificazione ha effetti di portata enorme non solo sul benessere psicologico dei familiari, ma anche ineludibili ripercussioni dal punto di vista burocratico. Prima di tutto è importante compiere ogni sforzo possibile per identificare i cadaveri in ossequio alla dignità dei defunti e delle loro famiglie. Un diritto sancito e tutelato da plurimi contesti normativi. Inoltre in assenza di identificazione certa non può essere prodotto il certificato di morte, un documento fondamentale per aspetti civilistici ed amministrativi. Tra questi, l’impossibilità per un orfano di fruire della possibilità di essere ricongiunto con i familiari ancora in vita. Il terzo aspetto riguarda il diritto alla salute, ed in particolare la salute mentale dei familiari in vita.
L’ impossibilità di avere la certezza che il prossimo congiunto sia effettivamente deceduto espone ad una condizione di limbo, definita “ambigous loss” (Perdita Ambigua). Questa condizione può essere prodromica allo sviluppo di quadri psicopatologici conclamati, tra i quali sindromi depressive. In ultimo, in assenza di identificazione è preclusa ogni possibilità di ottenere giustizia per eventuali reati commessi ai danni della persona migrante, così come gli eventuali ristori economici di natura risarcitoria o indennitaria.
Dalla collaborazione tra l’Università di Milano e l’Ufficio del Commissario Straordinario per le Persone Scomparse (C.S.P.S.) del Ministero dell’Interno è nato uno studio pilota volto alla individuazione di un modus operandi efficace ed efficiente per l’identificazione dei migranti deceduti.
Nel corso di oltre 6 anni di collaborazione, l’analisi delle relazioni disposte dai vari Pubblici Ministeri ha consentito di raccogliere i dati relativi ad oltre 2000 cadaveri derivanti da 68 naufragi nel Mediterraneo. Tra questi, sono state selezionate per lo studio pilota denominato “Lampedusa“ le 400 vittime dei naufragi del 3 e 10 ottobre 2013, in ragione della buona qualità dei dati postmortem raccolti.
Nella fase successiva, è stato lanciato un appello a livello europeo attraverso le ambasciate e le NGO al fine di pubblicizzare degli appuntamenti per la raccolta spontanea dei dati antemortem dai familiari delle vittime. Relativamente a questi due naufragi, ben 100 famiglie provenienti dall’Europa settentrionale e centrale si sono presentate a Roma e a Milano, presso le sedi previste per le interviste. In 50 casi, le famiglie hanno ottenuto un certificato di morte.
Il secondo studio pilota, denominato “Catania-Melilli“, ha riguardato 528 cadaveri decomposti e oltre 30000 resti scheletrici comminuti relativi al naufragio del 18 Aprile 2015. La raccolta dei dati postmortem ha coinvolto una equipe multidisciplinare composta da patologi forensi, antropologi e odontoiatri forensi volontari afferenti a 13 sedi Universitarie italiane. L’attività identificativa è tutt’ora in corso, ma la richiesta di colloqui per la comunicazione di dati antemortem da parte di oltre 400 famiglie testimonia la forte esigenza connessa al diritto all’identità per questi cadaveri.
Questi gli step da attuare a livello europeo per una soluzione al problema delle vittime senza
nome
Solo attuando questi step potremmo dire di aver implementato le procedure necessarie per ottimizzare le probabilità di identificare i cadaveri e, quindi, di tutelare i diritti delle vittime e delle loro famiglie. Ad oggi nessuno si sta occupando di farlo.
Questi corpi sono un onere la cui responsabilità è assolutamente italiana ed europea; Oggi sappiamo che possiamo ambire ad una soluzione ad ampio respiro utilizzando risorse governative già esistenti. Basta metterle efficacemente in pratica e creare specifici regolamenti e procedure.
In ragione di tanto, noi chiediamo che l’Unione Europea riconosca e tuteli il diritto all’identificazione di tutti, compresi coloro i quali sono deceduti nel corso di una migrazione.
Le persone che arrivano in Italia attraverso la rotta che parte dalla Turchia sono triplicate nel giro di tre anni. In Calabria, solo nel 2022, ne sono sbarcate 18mila. Altre 74.000 in Sicilia.
Mediterraneo centrale, la rotta che porta dalle coste libiche e tunisine a quelle italiane nel solo mese di gennaio 2023 sono state 4.526 le persone che hanno percorso la rotta, in aumento del 49% rispetto allo stesso mese del 2022 [report gennaio 2023, Frontex].
ROTTA MEDITERRANEO CENTRALE con partenze da Libia e Tunisia
ROTTA MEDITERRANEO ORIENTALE, che parte dalla Turchia (+10 per cento rispetto al 2021): si tratta soprattutto di siriani e afgani in fuga da guerra e dittatura, e di nigeriani (a sorpresa, ma non troppo: dalla Nigeria è possibile infatti prendere un volo fino a Istanbul senza visto, e da lì proseguire con mezzi di fortuna, evitando il deserto).
Naufragio del 3 ottobre 2013 - Camera dei Deputati
Addendum a protocollo d'intesa - 2014
Corpi non identificati - allegato tecnico - 2016
Avviso ai familiari - ITA
Avviso ai familiari - ENG